TERAPIA DELLA MALATTIA METASTATICA

Fonte:   Basi Scientifiche Guida Linee


©Samy Charnin - A day in the clouds




8.0 TERAPIA DELLA MALATTIA METASTATICA


8.1 Chemioterapia convenzionale: agenti singoli e regimi di combinazione
8.2 Nuovi farmaci e nuove combinazioni polichemioterapiche
8.3 La combinazione gemcitabina-carboplatino ed i pazienti unfit
8.4 I taxani
8.5 Regimi senza platino
8.6 Conclusioni




Premessa


Alla diagnosi, la malattia si presenta in forma localizzata-superficiale nel 66% dei casi, localmente avanzata (muscolo-invasiva) nel 29% dei casi e nel 5% dei casi in fase metastatica. Inoltre, nel 50-80% dei casi le forme localizzate e quelle localmente avanzate tendono a recidivare.
I siti più comuni di localizzazione metastatica sono rappresentati dalle stazioni linfonodali regionali, le ossa, il polmone, la cute ed il fegato; meno frequente è l’interessamento del cervello, delle meningi, della vagina e degli altri organi della cavità peritoneale (Cooling, 1959).
La sopravvivenza media dei pazienti con malattia metastatica che non ricevono alcun trattamento chemioterapico è di soli tre-quattro mesi; al contrario, la sopravvivenza nei pazienti trattati con chemioterapia è pressoché tripla. Ciò nonostante, ancora oggi, più dell’80% dei pazienti affetti da carcinoma uroteliale metastatico è destinato a morire entro un anno dalla diagnosi. La prognosi è correlata alla sede delle metastasi: infatti, una sopravvivenza più lunga si osserva nei pazienti con malattia localizzata ai linfonodi e ai tessuti molli, mentre una prognosi più infausta si osserva nei pazienti con metastasi epatiche ed ossee (Saxman et al., 1997). La risposta ai trattamenti è anche correlata ai diversi tipi istologici; infatti, le neoplasie ad istologia non transizionale (adenocarcinoma e carcinoma squamoso) sono molto meno responsive alla chemioterapia convenzionale.




8.1 Chemioterapia convenzionale: agenti singoli e regimi di combinazione


Diversi sono i farmaci che, nel corso degli anni, sono stati testati in monoterapia. Nella tabella 1 sono elencati gli agenti singoli e la loro attività in termini di percentuale di risposta (RR: response rate), che è risultata compresa tra il 2% ed il 35% (Yagoda, 1983; Sternberg et al., 1987).




Tabella 1 Agenti attivi in monoterapia








La combinazione di farmaci più studiata nei tumori uroteliali in fase avanzata è rappresentata dal regime M-VAC (metotrexate, vinblastina, doxorubicina e cisplatino) che è stato testato per la prima volta al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) di New York. Nel primo studio, pubblicato da Sternberg e collaboratori nel 1989 (Sternberg et al., 1989), in 121 pazienti valutabili venne osservata una percentuale di remissione completa (RC) del 36% (± 9%). Di questi pazienti, tuttavia, l’11% era stato reso libero da malattia dalla asportazione chirurgica del residuo tumorale dopo chemioterapia. La durata media della sopravvivenza dei pazienti con RC risultò superiore ai 38 mesi ed il 55% dei pazienti era vivo a 36 mesi di follow-up. A questa elevata percentuale di risposte complete si deve aggiungere il 36% dei pazienti che ottenne una risposta parziale (RP) con una durata mediana di sopravvivenza di 11 mesi. Al contrario, i pazienti non responsivi (PD) ebbero una sopravvivenza mediana di soli 8 mesi.
E’ opportuno sottolineare che il regime M-VAC in quel primo studio si era dimostrato più efficace sulle metastasi linfonodali che su quelle viscerali, mentre non risultò attivo nelle forme di carcinoma uroteliale non a cellule transizionali. Successivamente, questi dati sono stati parzialmente confermati in tutti gli studi che hanno impiegato l’M-VAC (Tannock et al., 1989; Logothetis et al., 1990; Boutan-Laroze et al., 1991; Loehrer et al., 1992; McCaffrey et al., 1997). Pertanto, questo schema terapeutico ha costituito il gold standard della terapia del carcinoma vescicale per circa 20 anni. Tuttavia, la tossicità di questo schema terapeutico è tuttaltro che trascurabile. Infatti, in tutti gli studi è emerso che questo schema induce una mielodepressione di grado 3-4 in più del 50% dei casi, una leucopenia febbrile nel 25% dei pazienti e mucosite di vario grado nel 49% dei casi. Inoltre, generalmente viene riportata una percentuale di morti per tossicità del 2-3% (Sternberg et al., 1989; Tannock et al., 1989; Logothetis et al., 1990; Boutan-Laroze et al.,1991; Loehrer et al., 1992; McCaffrey et al., 1997). Nonostante l’elevata tossicità, l’M-VAC è diventato gold standard, perché in uno studio multicentrico randomizzato ha dimostrato la sua superiorità rispetto al cisplatino, da solo, in termini di sopravvivenza mediana. Questa infatti era di soli 8 mesi dopo trattamento con cisplatino e di 12 mesi ed oltre dopo la polichemioterapia (Loehrer et al., 1992). Le curve di sopravvivenza a 2 anni confermavano la superiorità del regime di combinazione, anche se un’analisi successiva di questo studio ha dimostrato come in entrambi i bracci di trattamento la maggior parte dei pazienti fosse deceduta entro 5 anni dall’inizio della terapia (Saxman et al., 1997). E’ importante sottolineare che tra i pazienti lungo sopravviventi, che rappresentavano il 3.5% del totale, la maggior parte era stata trattata con l’M-VAC.
M-VAC è risultato superiore anche allo schema CISCA (cisplatino, adriamicina, ciclofosfamide) sia in termini di risposte globali (65% vs 46%) che in termini di sopravvivenza (12 mesi vs 9 mesi) (Logothetis et al., 1990).




8.2 Nuovi farmaci e nuove combinazioni polichemioterapiche


Numerosi farmaci hanno mostrato di essere efficaci nel trattamento del carcinoma a cellule transizionali ed attualmente alcuni di questi sono stati inseriti in regimi di combinazione. Con molti di questi farmaci, utilizzati singolarmente, si ottengono percentuali di risposte obiettive (RO) comprese tra il 25% e il 30% e la loro attività è stata dimostrata anche in pazienti pretrattati per la malattia metastatica. Tra i nuovi farmaci ricordiamo il gallio nitrato, l’ifosfamide, la gemcitabina, il trimetrexate ed i taxani (docetaxel e paclitaxel). Tuttavia, tra questi, solo la gemcitabina ha trovato larga applicazione nel trattamento dei tumori uroteliali per la sua elevata efficacia e moderata tossicità. Infatti, in numerosi studi di fase II (Moore et al., 1997; Stadler et al., 1997; Lorusso et al., 1998; Gebbia et al., 1999) il farmaco è stato testato come agente singolo a dosi settimanali di 1000 mg/m2, 1250 mg/m2 in pazienti pretrattati e non con regimi a base di platino, dimostrando la possibilità di ottenere una percentuale di risposte globali del 22.5%, con un profilo di tossicità moderato (Tabella 2).




Tabella 2 Gemcitabina da sola nel cancro vescicale metastatico









Sulla scorta del sinergismo dimostrato fra gemcitabina e cisplatino nel carcinoma polmonare, questa combinazione è stata saggiata in numerosi studi di fase II anche nei tumori uroteliali (Kaufman et al., 1998; Lorusso et al., 1999; Moore et al., 1999; von der Maase et al., 1999). In questi studi, la combinazione G + C (gemcitabina + cisplatino) si è subito distinta per l’elevata efficacia e la relativamente scarsa tossicità (Tabella 3).




Tabella 3 Studi di fase II di combinazione gemcitabina/cisplatino nel cancro vescicale














Pertanto, è apparso appropriato un confronto con il regime M-VAC. Il più grande studio multicentrico mondiale, pubblicato nel 2000, ha confrontato lo schema M-VAC con la combinazione G + C, evidenziando uguali risposte e minore tossicità. In questo studio, 405 pazienti con carcinoma uroteliale metastatico sono stati randomizzati a ricevere G + C (n=203) o M-VAC (n=202). All’analisi statistica, i due gruppi risultavano ben bilanciati per i principali fattori prognostici. La sopravvivenza mediana globale è stata di 13.8 mesi vs 14.8 mesi, il tempo alla progressione di malattia medio di 7.4 mesi in entrambi i bracci e il tempo all’insuccesso terapeutico medio di 5.8 mesi e 4.6 mesi rispettivamente. La percentuale di RO è stata del 49.4% nel braccio G + C e del 45.7% nel braccio M-VAC. Inoltre, nel gruppo di pazienti trattati con G + C è stata riscontrata una più bassa mortalità correlata alla tossicità ed una percentuale di sepsi neutropenica e di mucositi di grado 3-4 significativamente più bassa. Al contrario, nei pazienti trattati con G + C è stata osservata una più alta incidenza di anemia di grado 3-4 (27% vs 18%) e di piastrinopenia (57% vs 21%). La necessità di trasfusioni, peraltro, è stata simile nei 2 bracci. Per quanto riguarda la qualità di vita, i pazienti trattati con G + C hanno mostrato un significativo miglioramento nel peso, nel performance status e nell’astenia (von der Maase et al., 2000). Va infine sottolineato un maggior ricorso all’ospedalizzazione nel braccio M-VAC con significativo incremento dei costi. In forza dei risultati di questo studio, il regime G + C è considerato il nuovo gold standard, soprattutto in Europa.




8.3 La combinazione gemcitabina-carboplatino ed i pazienti unfit


Per paziente unfit si definisce un paziente che per motivi clinici quali basso performance status, cattive condizioni generali, insufficienza renale moderata od età, non sia suscettibile di trattamento con il cisplatino. Purtroppo, la maggioranza dei pazienti affetti da carcinoma della vescica presentano queste caratteristiche. Per questi pazienti, viene consigliato l’utilizzo o della gemcitabina da sola (scelta da preferire sempre nei pazienti con PS >2) oppure la combinazione di carboplatino e gemcitabina. Questa combinazione infatti è stata utilizzata con successo nei pazienti unfit con percentuali di risposta comprese tra il 36% ed il 44% e con una sopravvivenza mediana di 7.2 mesi (Bellmunt et al., 2001; Linardou et al., 2004). In questi pazienti viene raccomandata una dose di carboplatino che corrisponde ad una AUC non superiore a 4-4.5, in quanto in caso di iperdosaggio la tossicità di questo farmaco, in associazione alla gemcitabina può manifestarsi soprattutto sulle piastrine. Un recente studio randomizzato ha confermato l’efficacia e la buona tollerabilità di questo schema terapeutico (Carteni et al., 2003). Tuttavia, per i pazienti che possono tollerare il cisplatino, lo schema di gemcitabina e cisplatino è sempre da preferire per la maggiore efficacia dimostrata in innumerevoli esperienze internazionali.




8.4 I taxani


Nel tentativo di migliorare ulteriormente i risultati del regime G + C, alcuni ricercatori spagnoli hanno utilizzato una combinazione a tre farmaci includenti gemcitabina, cisplatino e paclitaxel. Il razionale dell’associazione dei tre farmaci era basato sull’elevata attività di ciascun farmaco come agente singolo e sui risultati preliminari ottenuti con la doppietta paclitaxel/gemcitabina (Bellmunt et al., 2000). Lo studio spagnolo ha riportato una percentuale di risposte obiettive vicina all’80% con una sopravvivenza mediana superiore ai 24 mesi. Tuttavia, la maggioranza dei pazienti arruolati presentavano fattori prognostici favorevoli. In particolare i 2/3 di essi presentavano metastasi in sedi non viscerali, usualmente meno responsive al trattamento chemioterapico. Inoltre, è stata segnalata una tossicità importante (astenia e mielodepressione) che sconsiglierebbe l’uso di questo trattamento nei pazienti anziani o con basso performance status. Pertanto, prima di poter considerare nella pratica clinica quotidiana regimi a tre farmaci con platino, gemcitabina e paclitaxel, bisognerà attendere ulteriori conferme dagli studi in corso, come lo studio randomizzato dell’EORTC che si propone di confrontare il regime G + C + paclitaxel con il regime G + C. Al momento attuale, dunque, i taxani non hanno un ruolo definito nel trattamento del carcinoma vescicale ed il regime standard rimane l’associazione di gemcitabina e cisplatino.




8.5 Regimi senza platino


Il ruolo della gemcitabina nel trattamento di questa neoplasia si è dimostrato centrale e recentemente gli sforzi dei ricercatori si sono orientati a rivedere il ruolo del cisplatino.
Diversi studi di fase II hanno saggiato la combinazione di gemcitabina e taxani ed in particolare il paclitaxel. Tale associazione, utilizzata sia in pazienti pretrattati che in prima linea, ha prodotto tassi globali di risposta compresi tra il 29% e il 61% (Bellmunt et al., 2000; Linardou et al., 2004). Nello studio di Meluch e collaboratori (2001) 54 pazienti con carcinoma uroteliale avanzato sono stati trattati con paclitaxel 200 mg/m2 in infusione di 1 ora in prima giornata e con gemcitabina alla dose di 1000 mg/m2 nei giorni 1°, 8° e 15° ogni tre settimane. I pazienti che presentavano RO o stabilità di malattia continuavano il trattamento per 6 cicli. Dei 54 pazienti arruolati, 29 (54%) hanno ottenuto una risposta maggiore e 4 una RC (7%). Ad un follow-up mediano di 2 anni, 16 pazienti erano vivi (30%) e 9 (17%) erano liberi da progressione di malattia. La sopravvivenza mediana di tutti i pazienti fu di 14.4 mesi. La tossicità di questo schema è stata prevalentemente ematologica. Nello studio di Sternberg e collaboratori (2001), 41 pazienti, che avevano ricevuto precedentemente uno o più regimi contenenti platino, sono stati trattati con gemcitabina alla dose di 2500-3000 mg/m2 e paclitaxel 150 mg/m2 in 3 ore ogni 2 settimane. In questo studio, il 53% dei pazienti ha ottenuto una risposta maggiore. La tossicità prevalente, di grado 3-4, è stata costituita da alopecia (100%) e neutropenia (44%). I risultati di questi studi tuttavia attendono ulteriori conferme.




8.6 Conclusioni


Sebbene negli ultimi venti anni siano stati fatti importanti progressi nel trattamento del carcinoma uroteliale avanzato, la maggior parte dei pazienti con malattia invasiva e metastatica ha un destino infausto. I nuovi farmaci hanno indubbiamente migliorato il profilo di tossicità delle combinazioni più attive, ma non hanno avuto impatto sulla sopravvivenza. Il regime gemcitabina-cisplatino è divenuto il trattamento di riferimento e le nuove combinazioni con gemcitabina potrebbero avere maggiore impatto sulla durata e sulla qualità di vita. Sarebbe auspicabile poter disporre di regimi senza platino, soprattutto se ciò dovesse comportare una ridotta tossicità. Infine nuove prospettive terapeutiche potrebbero venire dagli studi sui farmaci bio-molecolari, utilizzati da soli o in associazione alla chemioterapia.




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